Aurelio Mancuso

Quotidiano Europa sabato 20 agosto 2011

L’editoriale di Mario Adinolfi di ieri intitolato “Se la Gmg era un Gay pride”, mi fornisce l’occasione per aprire un confronto con una testata giornalista che è punto di riferimento di un’area precisa del Pd. Da cattolico gay proveniente dalle esperienze delle comunità cristiane di base, ho imparato nei decenni di riflessione, conflitti interni ed esterni alla Chiesa, di non rinunciare mai all’esposizione delle mie idee, allo stesso tempo di rifuggire da atteggiamenti proclamatori. Conoscendo gli scritti provocatori dell’editorialista in questione, che sui social network, sembra coltivare un’ossessione nei confronti delle persone lgbt eviterò faticose polemiche. Ciò non significa che non m’interessi il suo punto di vista, così immerso nel mare degli stereotipi e delle semplificazioni, e appunto per questo evocativo di un atteggiamento. Continuo a non comprendere, l’esercizio che molti cattolici praticano sui mass media, in politica, nelle reti sociali, di contrapporre le persone gay alla tenuta sociale e morale del Paese. Questa esasperazione, certamente alimentata da un’attenzione negativa da parte delle gerarchie cattoliche nei confronti dell’omosessualità e delle persone omosessuali, genera reazioni e conflitti. E’ avvenuto la scorsa settimana a Madrid, ma non è una novità, il cosiddetto “neoanticlericalismo” è oggettivamente in aumento, accompagnato anche da un’evidente secolarizzazione. A differenza di tanti leader e militanti gay e dei diritti civili, ritengo che interloquire con la Chiesa cattolica sia utile, non sul terreno teologico, ma su quello pubblico. La gerarchia interviene, con potente insistenza e utilizzo di tutti i mezzi comunicativi e di aggregazione che ha a disposizione, per contrastare le leggi sulle Unioni Civili, Pacs, matrimoni gay (strumenti assai differenti fra loro), così come sul testamento biologico, le tecniche di fecondazione assistita e così via. Quel suo essere caposaldo di valori certi, che si contrappongono al cosiddetto relativismo (su cui ampiamente si dovrebbe discutere iniziando da quello cattolico), la sospingono a esser percepita come strumento attivo di azione politica. Un’organizzazione che ha attraversato i secoli oscillando tra il martirio e contiguità con i poteri temporali (fino a divenirne essa stessa, per troppo lungo tempo, uno dei più importanti) può lamentarsi rispetto alle manifestazioni di dissenso? Non credo che il Papa e i Cardinali siano preoccupati delle contestazioni. Ciò che può rendere inquieti è costatare che nonostante i grandi sforzi, il tema della libertà individuale, accompagnato alla responsabilità, riscuote anche dentro il popolo di Dio un vasto e ragionato consenso. Come fu scritto nel giugno 2008 dall’importante rivista dei Gesuiti italiani Argomenti Sociali: “Il riconoscimento giuridico del legame tra le persone dello stesso sesso, quale presa d’atto di relazioni già in essere, trova la sua giustificazione in quanto tale relazione sociale concorre alla costruzione del bene comune”. Il lungo studio pubblicato richiama nelle sue conclusioni la necessità che i politici cattolici di riconoscere questi legami. Sui temi della morale sessuale, i legami e le relazioni sentimentali, il confronto è, quindi, aperto, lungi dal poter esser conchiuso dalle pur importanti prese di posizioni della gerarchia. Comprendo e do voce alla rabbia che milioni di persone lgbt nutrono nei confronti delle continue offese e discriminazioni ad opera di tanti uomini di Dio, allo stesso tempo è sul terreno pubblico che voglio incontrare le tante e i tanti politici cattolici, che prima di tutto hanno la responsabilità di promuovere leggi a sostegno del bene comune, quindi, anche per le persone lgbt.

 

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