Che la vittoria dei popolari spagnoli sia scontata lo evidenziano tutti i giornali nazionali e internazionali. Il rischio però è che il partito conservatore iberico ottenga la maggioranza assoluta e possa in questo modo esser tentato di rimettere mano alle leggi di riforma civile approvate negli anni del governo Zapatero. Per questo per esempio si è notata negli ultimi mesi un’impennata dei matrimoni gay che dal 2005 a oggi sono stati 24mila (il 2 per cento dei matrimoni). Rajoy in verità dovrebbe esser impegnato a spiegare le ricette economiche per far uscire il paese dalla crisi, ma le sue risposte su questo tema sono assai vaghe.  Si è, infatti, limitato ad affermare di non voler toccare le pensioni, ma su tutto il resto “si vedrà”; la vera sfida però è strutturale e passa per una maggiore diversificazione di un’economia trainata soprattutto dal turismo e – fino allo scoppio della bolla – dal settore immobiliare: un problema che certamente non si può risolvere in poco tempo. “Non dobbiamo ingannarci – ha messo le mani avanti ieri il leader conservatore nel suo ultimo comizio elettorale – le cose non si aggiusteranno da un giorno all’altro”. Per il Partito Popular quel che conta è fare il pieno dei voti cattolici ultramontani delle gerarchie cattoliche, quanto mai impegnate a far dimenticare il prima possibile il più odiato leader socialista della storia ecclesiastica spagnola. Una chiesa, che contro i matrimoni gay e le altre riforme, ha mobilitato milioni di spagnoli, non riuscendo però mai a far cambiare opinione al governo socialista e soprattutto a non raccogliere mai il gradimento maggioritario del Paese. Però, ora il vento sta cambiando e, per demerito dei socialisti più che per capacità politica dei popolari, vincerà Rajoy, che fa paura certamente a tutte quelle aree laiche che in questi anni hanno potuto godere del riscatto sociale grazie agli impegni mantenuti da Zapatero. Cosa accadrà dopo il voto? Difficile dirlo, certo che l’inquietudine sale e ad alimentarla ci pensa il movimento degli indignados, che spingono al non voto o al massimo a indicare la preferenza nei confronti  di partiti minori, e questo non può che danneggiare, vista la legge elettorale, i socialisti.

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