POTERE TRANSGENDER
La Repubblica 17 gennaio 2012 pagine 44, 45, 46, 47
La rivincita del terzo sesso
VERA SCHIAVAZZI
Per i trentamila transgender italiani, persone che hanno già cambiato o vorrebbero cambiare la propria identità sessuale, o che rivendicano il diritto di non dichiararla affatto, il serbo Andrej Pejic è un simbolo. Modello (o modella) scelto da Jean-Paul Gaultier per la sua superba e androgina bellezza fuori dal tempo e dagli schemi, ha sfilato vestito da sposa per le collezioni primavera-estate del 2011, posato per Vogue, dichiarato candidamente di salire in passerella «per guadagnare» e di ritenersi «un rischio calcolato» per le grandi firme della moda. E il Courrier International l´ha messo in prima pagina: un mezzo busto senza veli, conturbante e stimolante, per introdurre un´ampia inchiesta sul fenomeno nel mondo.continua a leggere Anche se la realtà di tutti i giorni è dura, e qualche volta durissima, per chi nasce con caratteristiche fisiche che non corrispondono ai propri sentimenti e alle percezione di sé (un uomo su 30mila, una donna su 100mila), i simboli sono importanti. Non solo nella moda, ma in politica, con parlamentari come la polacca Anna Grodzka o la spagnola Carla Antonelli, nell´arte (la danzatrice cinese Jin Xing), nell´economia (la manager americana Margaret Stumpp). Persone di successo che hanno avuto il coraggio, e la possibilità, di dichiarare senza timidezza la propria trasformazione. Transgender è bello? Ed è un caso che siano proprio le persone dall´identità volutamente ambigua, difficile da definire, “terza” rispetto ai generi tradizionali, a rappresentare oggi l´avanguardia del movimento per i diritti e per le libertà sessuali?
Qualcosa del genere, in effetti, sta accadendo anche in Italia, dove i transgender rappresentano oggi la punta avanzata di un fronte, quello dei gay e delle lesbiche organizzati, che altrimenti potrebbe apparire alquanto stanco. Perché sono loro a affermare che “il re è nudo”, e che non esiste alcuna ragione per obbligare le persone a collocarsi, da una parte o dall´altra, o a sottoporsi a lunghi e dolorosi interventi chirurgici per poter avere il nome che vogliono – quello che sentono e che li definisce davvero – sulla carta di identità. Come racconta Fabianna Tozzi Daneri, forse la più nota tra gli attivisti-transgender, donna-immagine del movimento: «Ci battiamo perché la legge del 1982 che consente di modificare i propri dati anagrafici sia estesa anche a chi non sceglie la riattribuzione chirurgica del sesso. E nello stesso tempo chiediamo che questa proceduta, che in Italia è inserita nel sistema sanitario e dunque dovrebbe essere gratuita, venga praticata correttamente e sia davvero accessibile a tutti».
Fabianna, che ha iniziato a lavorare come parrucchiera in un teatro lirico («ero brava, e ho avuto la fortuna di vivere in un ambiente dove la diversità è più accettata che altrove»), è, anche, una politica dotata di grande pragmatismo: «Perché la nostra condizione sia accettata in Italia dobbiamo essere noi, per primi, a renderci conto che non siamo i soli a subire discriminazioni. Tutti hanno problemi di lavoro, oggi, e la vita è difficile per tutti. Il nostro diritto a non essere discriminati deve andare di pari passo con quello di ogni persona a avere condizioni di vita e di impiego dignitose».
Nascono così campagne pubblicitarie (come quella che ha avuto per modelli la stessa Fabianna insieme a Gabriele Dario Belli, altro transgender famoso grazie anche alla sua partecipazione a un´edizione del Grande Fratello, o ad un´altra, di questi giorni, che dà voce a genitori e colleghi di gay) che puntano ad uscire dal vittimismo e a restituire all´identità sessuale di ognuno la propria “normalità”. E mentre in Australia la battaglia vinta da un transgender per essere individuato sul passaporto come persona “del terzo sesso”, né maschio né femmina, è stata salutata tra gli applausi, in Italia una simile possibilità è guardata con sospetto: «È una soluzione che ci spaventa, perché non va d´accordo con le leggi e la cultura del nostro paese – dice Fabianna – Io credo invece che quando non ce n´è bisogno, a partire dai documenti di identità, sarebbe di grande sollievo per tutti noi non indicare il genere. E proteggerebbe le persone transgender anche quando si trovano a viaggiare in paesi dove le libertà sono più ristrette».
Gli stessi paesi, dall´Afghanistan all´Iraq, dai quali è in atto da qualche anno una ristretta e silenziosa, ma spesso drammatica, “migrazione sanitaria” verso l´Italia: chi può, abbandona casa e famiglia per spostarsi dove il cambiamento di sesso è possibile e sicuro. Trieste, Roma, Torino sono le città dove esiste un ospedale che – tra un taglio e l´altro ai bilanci, tra una polemica e un attacco – ha mantenuto e fatto crescere la propria specializzazione nell´aiutare gli uomini che vogliono diventare donne (una tecnica chirurgica oggi relativamente semplice e destinata al successo nel 90 per cento dei casi) o le donne che vogliono diventare uomo (anche questo è possibile, ma il percorso è difficile e sofferto, ed è soprattutto pensando a questi pazienti che si chiede di poter scollegare la mutazione anagrafica da quella fisica).
Intanto anche il mondo dello spettacolo, e del cinema dopo che la tv lo aveva già fatto, si apre al mutamento. «Sarò tra i protagonisti del nuovo film di Marco Bracco, Il tempo delle mimose, insieme a un grande cast, con Fabio Testi, Simona Autieri e Anna Galiena – annuncia con un certo orgoglio Gabriele Dario Belli – Ovviamente, il mio sarà un ruolo maschile. Ma le persone come noi sanno che la transizione non finisce mai. Ho 40 anni, ed è da quando ne avevo 3 che so di essere nato maschio in un corpo di donna: non una lesbica, ma un uomo eterosessuale. Mi sentivo un alieno, fino a quando non ho sentito un altro raccontare una storia uguale alla mia. Mi hanno aiutato anche il mio lavoro (è responsabile del marketing in una grande azienda, ndr) e la mia compagna, che mi ha incoraggiato a mostrarmi in tv. Mi sono detto: ok, lo faccio, ci vado e mostro a tutti che esiste un “prodotto” che non conoscono, una donna che ha scelto di essere uomo. E, credetemi, non lo ha fatto per i vantaggi che ancora oggi essere maschi comporta, ma perché quello era il modo di avvicinare il suo corpo alla sua mente». I risvolti sociali sono, e restano, imprevedibili: «Ci avete mai pensato? A certe aziende piace assumere donne lesbiche, perché sanno che non resteranno a casa in maternità», suggerisce Gabriele.
Persone come Fabianna e Gabriele, o Valentina, Marco sui documenti (lavora come camallo al porto di Genova) sono i testimoni di un cambiamento che potrebbe preludere a un´esplosione del fenomeno: lo dice la moda, con colori, tessuti e tagli sempre più indistinti, lo dice il mondo dei cosmetici, con prodotti e make up progettati senza distinzione, lo dice l´esitazione di moltissimi ragazzi che non vogliono aderire a stereotipi maschili o femminili nei quali non si riconoscono più. Evviva la neve (Mondadori, 2011), il libro di Delia Vaccarello (giornalista e blogger, lavora per il Comune di Venezia come consulente anti-discriminazioni) raccoglie alcune storie drammatiche di cambiamento, compresa quella che l´ha fatta entrare in sala operatoria a Trieste, ed è stato un grande successo anche al di fuori del mondo trans.
Anticonformisti per non sentirsi più prigionieri
MICHELA MARZANO
Chi sono i transgender? Si può essere al tempo stesso uomini e donne? Esiste un “terzo sesso”? Come spesso accade nella vita, la risposta a questo tipo di domande è tutt´altro che semplice. A meno che non ci accontenti della solita scelta secca tra il “sì” e il “no”. La famosa logica dualistica che pensa il mondo in modo binario: il bene e il male, il vero e il falso, l´anima e il corpo, gli uomini e le donne. Peccato che quando si parli di identità di genere, tutto sia molto più complicato. Perché in ogni persona esistono degli elementi di femminilità e di mascolinità, anche se poi, nel corso della propria vita, si ha tendenza a stabilizzarsi all´interno di un genere specifico. A parte i transgender certo, che a differenza dei transessuali, non rivendicano affatto il diritto di cambiar sesso, ma quello all´indeterminazione sessuale.
Per i transessuali, lo scopo è riconciliare “identità psicologica” e “sesso anatomico”: si tratta di persone convinte, fin dalla più tenera età, di appartenere all´altro sesso. Per un brutto scherzo della natura, alcune donne si ritrovano in un corpo d´uomo e alcuni uomini in un corpo di donna, e allora cercano solo di “rimettere le cose a posto”. A differenza di tutti coloro per i quali il sentimento di appartenenza all´uno o all´altro genere coincide con la propria conformazione genitale e il proprio corredo cromosomico, i transessuali soffrono a causa dell´esistenza di un divario tra “corpo” e “identità”, di uno “sfaldamento” cui vogliono mettere fine, per non sentirsi più prigionieri di un “corpo” o di un “nome” che non riconoscono. Da questo punto di vista, i transessuali non hanno alcuna intenzione di sovvertire l´ordine delle cose: vogliono solo adeguarsi all´immagine che, da sempre, hanno di loro stessi. Ecco perché anche coloro che non vogliono sottoporsi ad un intervento chirurgico, vogliono poter modificare il proprio nome sulla carta di identità. Per diventare agli occhi di tutti quello che loro sanno di essere fin da piccoli.
Rispetto ai transessuali, i transgender sono molto più sovversivi. Rifiutando ogni opposizione binaria, vogliono mettere in scena la dualità uomo/donna senza scegliere a quale sesso appartenere: vogliono essere al tempo stesso uomini e donne. È per questo che la maggior parte dei transgender rivendica l´etichetta queer – letteralmente strano, bizzarro, eccentrico – e trovano all´interno della teoria queer quegli strumenti necessari per rivendicare il diritto di vivere al di fuori delle categorie di genere tradizionali. A differenza dei transessuali, i transgender non si definiscono come prigionieri di un “corpo sbagliato”. Non cercano un “vero corpo”. L´idea che possa esistere una “verità” legata alla materialità del corpo viene completamente rigettata. Tutto è artificio, protesi, impianto, trucco, vestito… Tutto pur di arrivare a un “corpo accettabile”, ossia a quell´apparire ambivalente e androgino, che è poi l´unico ad incarnare il “compromesso”.
È per questo che la cultura transgender rifiuta drasticamente l´idea di un passaggio definitivo: la transizione da “lui” a “lei”, o da “lei” a “lui”, non sarebbe altro che la prova dell´assoggettamento di un individuo ai discorsi e alle pratiche che cercano di normalizzarne l´esistenza assegnandolo ad un´identità specifica. Essere transgender vuol dire, per definizione, incarnare l´eccentrico, sfuggendo a ogni ambito sociale e a qualunque dispositivo istituzionale, anche al linguaggio: il fatto stesso di parlare “del” o “della” transgender significherebbe d´altronde tradirne l´identità multipla. Il/la transgender è sempre “uomo e donna”, “né uomo, né donna”. Un “terzo sesso” allora?
Ognuno di noi vive come può il rapporto con il proprio corpo. Ognuno organizza la propria identità cercando di accettare le proprie contraddizioni. Rivendicando la possibilità di passare da un sesso all´altro (transessuali) o il diritto di non scegliere a quale sesso appartenere (transgender), i (le) trans ci spingono in fondo a interrogarci non solo sulla nostra identità sessuale, ma anche sui limiti intrinseci della nostra corporeità. E in questo, sono profondamente sovversivi. E hanno ragione. Perché è forse l´unico modo per uscire definitivamente dagli atavici dualismi ontologici. Si può, tuttavia, essere e volere veramente “tutto”? Nel momento in cui rifiutiamo il nome che ci è stato dato e ne scegliamo uno nuovo, non finiamo lo stesso con l´identificarci ad un genere ben preciso? E poi, c´è veramente bisogno di “ontologizzare” un terzo sesso per vivere fino in fondo le ambivalenze della nostra identità de genere?
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