Nell’art. 2 della Costituzione le basi per le unioni di fatto
Di Andrea Benedino e Aurelio Mancuso – Unità 12 Giugno 2012
LE PAROLE CHE PIERLUIGI BERSANI HA INDIRIZZATO LO SCORSO SABATO AGLI ORGANIZZATORI DEL BOLOGNA PRIDE RAPPRESENTANO UN PUNTO DI SVOLTA IMPORTANTE.
In primo luogo Bersani colloca l’azione del Pd nel solco di quanto stanno facendo in tutto il mondo le principali forze progressiste, citando gli esempi importanti del presidente americano Barack Obama e di quello francese Francois Hollande. Di fatto Bersani, pur non spingendosi sulla strada del matrimonio gay, pone nella prospettiva del Partito democratico l’obiettivo dell’uguaglianza dei diritti e delle opportunità di vita, indipendentemente dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. In secondo luogo Bersani colloca il tema di una legge contro l’omofobia e la transfobia e di una legge che riconosca le unioni omosessuali all’interno di una prospettiva più generale di impegno del partito rispetto ai diritti civili negati in questo Paese, affermando: «Sarà anche su questi temi, tra cui mi permetto di aggiungere il divorzio breve, l’introduzione del diritto di cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia, e il testamento biologico, che nei mesi che verranno di qui alle prossime elezioni politiche, si giocherà la nostra capacità di parlare al Paese ». La novità importante è però rappresentata dal modo in cui viene affrontato il tema del riconoscimento delle unioni omosessuali. Dice Bersani: «Non è accettabile che in Italia non si sia ancora introdotta una legge che faccia uscire dal far west le convivenze stabili tra omosessuali, conferendo loro dignità sociale e presidio giuridico». Parlando di «dignità sociale e presidio giuridico», Bersani mette finalmente da parte le circonlocuzioni verbali e politiche con cui si volevano, ai tempi dei Dico, prevedere i «diritti dei singoli all’interno delle formazioni sociali» senza però riconoscere formalmente le formazioni sociali da cui quei diritti erano generati. Che tradotto significava elencare alcuni limitati diritti ai singoli conviventi (siano essi omosessuali o eterosessuali), in nome di una convivenza che non doveva però essere riconosciuta dalla legge come un istituto giuridico diverso e alternativo alla famiglia tradizionale. Questo riconoscimento non può, a parer nostro, che avvenire attraverso una legge che sancisca giuridicamente le unioni omosessuali come una delle formazioni sociali previste dall’articolo 2 della Costituzione. Èla stessa Corte Costituzionale a suggerire, come alternativa all’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio, un «esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte operate» (sentenza n. 138 del 2010), aggiungendo che «… nell’ambito applicativo dell’art. 2 della Costituzione, spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni». Il nostro augurio è che la commissione Diritti del Pd presieduta da Rosy Bindi, che si appresta a concludere i suoi lavori nei prossimi giorni, possa confermare questa linea, senza far fare a questa discussione dieci passi indietro.
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