Ehi ragazzi Obama vincerà! Non sarà facile, magari non otterrà la maggioranza nazionale dei voti, così come accadde a Bush jr, ma il suo risultato finale è dato per certo da tutti gli osservatori. Come europei non possiamo che tifare per Obama, e la cosa incredibile che non ci sono divisioni tra progressisti e conservatori. Il presidente democratico è visibilmente più attratto dalle politiche di welfare del vecchio continente che dalle teorie americane di auto organizzazione sociale. In questi quattro difficili anni Barack si è barcamenato tra un Congresso ostile e una crisi economica devastante, cui ha risposto con strumenti di intervento statale inediti, che gli hanno procurato l’epiteto di “socialista” che negli States fa rabbrividire non solamente la destra reazionaria, ma pure la classe media moderata. Eppure Obama ha alla fine dei conti tirato fuori il suo Paese da una bolla finanziaria spaventosa, ha fatto ripartire l’economia, persino l’occupazione conosce timidi segnali di ripresa. Per questo l’elettorato che conta, negli stati chiave, gli rinnoverà con riluttanza la fiduciacontinua a leggere. Niente a che vedere con la nostra interessata tifoseria, che trae la sua ragione dalle preoccupazioni sugli equilibri internazionali, dall’avere un presidente non ostile all’Unione Europea. Gli americani sanno che come “comandante in capo” Obama è assai più affidabile di Romney e l’ultimo confronto tra i candidati alla Casa Bianca, ha confermato che il repubblicano è inadeguato, se eletto in balia degli interessi delle lobby delle industrie militari, delle multinazionali che lucrano sulle disgrazie del mondo, delle gerarchie militari. Non che questo abbia mai scandalizzato la maggioranza degli americani che vanno a votare, ma non è aria, la crisi morde troppo e si vuole una politica moderata, non esageratamente interventista, che si preoccupi di più degli affari interni degli USA. Per questo l’attuale presidente è favorito: ha catturato e ucciso Bin Laden, sta riportando i ragazzi a casa dai troppi scenari di guerra aperti dalle amministrazioni repubblicane, si muove con più prudenza senza enfatizzare nuovi mostri da abbattere. Tutto questo gli varrà una complessa rielezione, magari al pelo ma sufficiente per poi dargli mano libera per i prossimi due anni. Per gli interessi europei sarà un’ottima cosa, anche nella prospettiva del come e quando si riuscirà a uscire dalla crisi, partendo da quell’attenzione che Obama continua ad avere rispetto alla necessità che ci rimettiamo in carreggiata per non frenare la ripresa degli USA. Poco importa che la gran parte delle responsabilità sia del sistema finanziario americano. E se sull’economia non possiamo che sostenere Obama, anche sul fronte dei diritti civili e umani, la sua Amministrazione si è distinta con un inedito interventismo, giocato soprattutto attraverso le ambasciate sparse sul pianeta. Non è un mistero che su difesa e promozione dei diritti delle donne, delle persone lgbt, dei dissidenti nei regimi dittatoriali, delle libertà religiose, il Segretario di Stato abbia impartito precise direttive affinché le rappresentanze diplomatiche facciano avvertire il loro impegno, anche in Stati democratici e teoricamente sensibili, come l’Italia. Certo il “socialista” Barack Obama non può premere troppo l’acceleratore, nemmeno spingersi in una sorta di patronato globale, sa bene a differenza dei suoi predecessori che la democrazia non si esporta, al limite la si propone. L’altro pilastro su cui il presidente si gioca, la sua rielezione è la riforma del sistema sanitario, una sorta d’iniezione europeista in un’organizzazione complessa e dove lucrano potentissime lobby private. Se vincerà, è su questo tema che cercherà di passare alla storia, così come tenterà di intervenire sul disastroso sistema scolastico. Non sarà facile, anche perché in agguato c’è il bubbone Siria/Iran, su cui dovrà assumere un atteggiamento più deciso, che probabilmente non piacerà a molti di noi. Ricordiamoci che stiamo parlando degli USA, dove dall’elettorato della vastissima periferia a quello delle metropoli il tema della difesa degli interessi nazionali attraversa democratici e repubblicani, restringendo a una consistente minoranza l’area pacifista. Insomma conviene esser moderatamente obamiani, perché dalla sua presidenza potrebbe scaturire un periodo politico, di seria riorganizzazione della nazione più potente del mondo, che teme a ragione l’ampliarsi del moloch cinese, l’involuzione del regime russo, la precarietà dei sistemi capitalisti. Certo entrasse finalmente in campo un soggetto europeo unico e credibile, le visioni democratiche americane sarebbero rafforzate, ma qui ancora proprio non ci siamo accorti che non esiste più un baricentro, e che divisi e deboli conteremo sempre meno.

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