di Aurelio Mancuso

Avendo per fortuna vinto Pierluigi Bersani, che con la sua candidatura unisce la sinistra che intende governare un Paese ancora sull’orlo del baratro, è innegabile che ora cambia tutto. Il governo Monti che ha tratto la sua spinta propulsiva dalle spaventose irresponsabilità del centro destra, ed  è stato sostenuto anche dal Pd, persino troppo lealmente, perché il sistema Paese non avrebbe retto immediate elezioni, ha nei fatti esaurito la sua funzione. Non è un caso che le scelte che sono ora necessarie per fuoriuscire dalla drammatica recessione, non le possa assumere un governo tecnico, che sempre più  vuole trasformarsi in politico, al servizio di un progetto centrista di cui il maggior protagonista è Andrea Riccardi. continua a leggere Questo schema ha esaurito la sua funzione, ora bisogna andare al voto e presto, senza indugi e al netto di sempre più goffi tentativi di cambiare una legge elettorale tremenda, che vorrebbe esser sostituita con norme ancor peggiori. Bersani ha ora la forza di imporre l’agenda, quindi, un percorso lineare: elezioni anticipate, scelta da parte del PD, attraverso forme di consultazione popolare dei candidati parlamentari, costruzione definitiva di un’alleanza politica stabile e chiara. In questo quadro il contributo di Matteo  Renzi è oggettivamente utile, perché le sue richieste di “rottamazione” non hanno vinto, ma il Segretario sa che la sua proposta di “far girare la ruota” più consona alle pratiche del partitone, non potrà essere solo la promozione di una giovane classe dirigente, dovrà vivere come una vera e propria riforma della leadership diffusa dentro il Pd e in tutto il centro sinistra. E la prima questione è quella delle deroghe, per chi tra gli eletti ha sostato in Parlamento per 15 anni. Su questo Bersani ha detto cose importanti e soprattutto rimandato alle regole interne, che prevedono un voto qualificato della Direzione. In verità non è che ci sia in giro tra i coinvolti molta voglia di combattere, Veltroni, D’Alema, Finocchiaro, Turco e altri hanno già detto chiaramente che non la chiederanno, rimane Rosy Bindi a tenere viva la sua autocandidatura, mentre Fioroni per ora non ha, più prudentemente, fatto cenno alla questione. La passionaria del Pd comprende bene che l’insistenza con cui porta avanti la sua battaglia personale, le procura un vistoso isolamento, in cui da sola dovrà avere la capacità di fuoriuscire. Dalle parti delle cerchie più influenti il fastidio verso di lei è palpabile, e in sintesi la frase ricorrente è “nessuna umiliazione, ma nessun ricatto”. L’aria che spira è così forte, che molti bersaniani in questi giorni hanno ripetuto che non voteranno deroghe in Direzione, così come certamente i mariniani e i renziani. Senza tirarlo per la giacchetta, rifuggendo dalle furie vendicatrici e purificatrici del dopo, si può concretamente aiutare Bersani a procedere con il rinnovamento, mantenendo vive le migliori proposte sul tema proclamati dai due competitor delle Primarie, chiedendo abbondanti passi indietro a pasdaran alla Reggi. Il rinnovamento della politica è uno dei pilastri che non può venir meno se le sinistre italiane vogliono davvero diventare punto di riferimento di una riscossa italiana, cercando di erodere nel vasto campo dell’astensionismo il consenso necessario per l’autosufficienza, che non è in fondo una brutta parola.

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