Anniversario Kennedy: l’eredità fasulla del Pd sui diritti – settimanale gli Altri
La sinistra italiana ha sempre un rapporto ambivalente con la storia del partito democratico americano, per decenni, vista la divisione fra i blocchi, i socialdemocratici e repubblicani guardavano con interesse ciò che si muoveva oltre Oceano, mentre PCI e PSI, solo da dopo la metà degli anni ’70 hanno cominciato a ragionare sulla sponda progressista americana, che dentro di se aveva, come oggi, anime molto differenti fra loro. Con l’elezione di JFK si aprì una finestra d’interesse, anche nel popolo della sinistra, perché quel presidente, utilizzava parole nuove, che come in una felice congiunzione, trovava sponda in Europa con molti leader socialisti e socialdemocratici e con papa Giovanni XXIII. Dalla crisi della Baia dei Porci al New Deal, dall’attenzione rispetto alle contraddizioni sociali all’impegno sui diritti civili, in particolare sul riscatto dei neri americani JFK, dava voce a un’altra America, che da imperialista tentava di mutare in guida non arrogante di un nuovo futuro del mondo. Con il suo assassinio, il successivo precipitare della questione vietnamita, l’affacciarsi dei movimenti di liberazione sessuale, la corsa agli armamenti e l’ampliarsi dei conflitti regionali, la sinistra italiana si rinchiuse nei suoi confini classici. Non mancarono occasioni d’incontro, di dialogo, ma la tardiva presa di posizione di Berlinguer sull’ombrello Nato e, quell’ancora più scioccante per i militanti, sull’esaurimento della spinta propulsiva del socialismo realizzato arrivò fuori tempo massimo.continua a leggere Il Pds sarebbero dovuto nascere almeno un decennio prima, mentre si precipitò frettolosamente nel Pd, con l’inutile transizione agonizzante dei Ds, di cui paghiamo ora le evidenti conseguenze. E non è un caso che Walter Veltroni scelse come primo segretario del PD proprio John Fitzgerald Kennedy, come uno dei punti di riferimento ideali del nuovo soggetto politico. Quel suo nuovo inizio, preso a prestito per significare che anche il Partito Democratico italiano tracciava una vera discontinuità, un fatto inedito che univa culture politiche molto differenti, impegnate in un patto comune per cambiare l’Italia, per traghettarla fuori dall’immobilismo e arretratezza. La storia recente dice che quel pure generoso intento è fallito e siamo dentro un ciclo, dove si pensa che il fenomeno di Firenze riuscirà a risolvere i guai strutturali di un partito senza una visione che scaldi almeno i cuori più sensibili. Veltroni, tentò di posizionare il nuovo partito nel solco democratico americano, cercò insistentemente sul piano internazionale di far evolvere la proposta di Bill Clinton di terza via, conciliando valori cattolici e di centro con visioni progressiste. Il suo refrain “ma anche” che nel famoso discorso del Lingotto era utilizzato per tenere insieme interessi delle fasce popolari e operaie con le posizioni imprenditoriali più sensibili al rinnovamento del Paese, stava tutto dentro la volontà di superare da una parte la tradizione storica della socialdemocrazia e dall’altra, all’interno di una già allora evidente crisi della rappresentanza, di coagulare forze moderate come argine al populismo e alle derive xenofobe. Veltroni non c’è riuscito, cosi come lui altri leader europei tra cui Tony Blair. E’ possibile che nel futuro il tentativo di rilanciare una forza internazionale democratica e progressista (anche ora i tentativi sono in atto) possa compiersi, nel frattempo permane una complessiva difficoltà delle sinistre riformiste e liberali a conquistare il governo nei paesi del vecchio continente (e quando lo conquistano come in Francia soffrono parecchio) che nasce da un’incapacità di uscire dal tunnel dell’afonia rispetto alle crisi che attraversano il mondo. Ritornando all’eredità di JFK, una delle questioni non risolte dal PD attiene all’incapacità di mettere al centro dei suoi valori e azioni il tema dei diritti civili. Neppure il coraggioso percorso di Obama (forse il vero erede del pensiero kennediano) convince ancora il partitone ad abbandonare sui diritti civili quel misto di ambiguità e ipocrisia che lo rende per una consistente fetta di potenziale elettorale, inaffidabile. E in questo caso il vizio sta proprio nell’atto di nascita, perché quel “ma anche” è stato utilizzato (a volte anche contro il suo stesso ideatore) per non decidere mai, per non fare quel passo politico e culturale così ben sintetizzato da Obama nel suo discorso di reinsediamento a Presidente degli Stati Uniti. Perché se le altre formazioni democratiche e progressiste condividono difficoltà programmatiche rispetto alla crisi economica, invece sui diritti civili e sociali, con velocità differenti, sono tutte schierate nel ripetere come un mantra che devono stare insieme perché solo così si cambia la condizione degli individui. John Kennedy fu un grande precursore, e nei suoi interventi di allora, traspariva un pensiero, cui avrebbero attinto non solo i partiti progressisti, ma anche movimenti che da lì a poco avrebbero cambiato il volto dell’occidente. Il Pd di Veltroni fino a quello di Bersani ha invece balbettato, tentato di trasferire in salsa paesana concetti assai chiari. Solamente con l’ultimo segretario, appunto Bersani, dopo lungo travaglio, si è aperto uno spiraglio, che speriamo non sia cancellato dopo il Congresso. Per ora Kennedy è assai lontano, si utilizza strumentalmente il suo patrimonio politico, per adattarlo alle piccinerie localistiche, per accreditarsi rispetto agli avversari interni come i veri liberal. In concreto si tratta sempre di atteggiamenti post comunisti o post democristiani, da rispettare, ma che poco hanno a che fare con JFK.
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