di Aurelio Mancuso

E’ indubbio che il termine rottamazione sia entrato prepotentemente nel linguaggio comune indicando la necessità che una intera classe politica, per età, stazionamento nelle stanze istituzionali debba andare a casa. Un’espressione violenta che se ci si affida al vocabolario ci racconta molte cose. Rottamare è “eseguire lo smantellamento di autoveicoli recuperando tutte le parti ancora utilizzabili e consegnando alle fonderie le rimanenti parti metalliche”. Insomma per il sindaco di Firenze e suoi accoliti il metodo degli sfasciacarrozze è l’unico che può consegnare l’Italia  a una stagione nuova, dove al centro c’è l’imperativo di smantellare la casta attuale, recuperando qualcosina (non si sa cosa) per poi riciclare il rimanente nella fonderia della meritocrazia e il giovanilismo politico. Non è dato di sapere come sarà costruita la nuova auto, di quali parti sarà composta, con quale benzina camminerà. La rottamazione a differenza del cambiamento, non spiega le azioni future, si limita a fissare un presente che ha come primo scopo quello dell’abbattimento del sistema ritenuto vetusto, quasi un fine ultimo che fissa il perimetro, non ha bisogno di orizzonti al di fuori.continua a leggere In questa bislacca competizione per le Primarie 2012, rottamazione e cambiamento sono naturalmente contrapposti, rivelano due atteggiamenti culturali precisi, che non possono esser limitati al fatto che il primo sarebbe di destra e il secondo di sinistra. La rottamazione, nelle sue espressioni anche più cruente e drammatiche, è stata la bandiera di visioni autoritarie dentro le sinistre, in particolare fondamento delle teorie armate del rovesciamento della democrazia. Renzi non è un terrorista, né ha confidenza con teorie autoritarie e di devastazione delle società democratiche, pone questioni vere rispetto al ricambio e a una necessaria modernizzazione. Il Sindaco ha scientificamente deciso di usare un termine violento, virile, da scontro tra i poteri maschi della politica italiana, per emergere. Ha fatto bene? Certo i risultati per ora gli danno ragione, con buone posizioni nei sondaggi, una campagna elettorale aggressiva e di popolo, scenografie sapienti che esaltano il solo sugli altri. C’è un profondo però, cui per ora il giovane leader non sa, forse non può, rispondere. E poi? Perché “Adesso” ha in se un messaggio importante, quello dell’azione immediata, del grimaldello che scardina rituali e gerarchie, ma rimane inevasa la domanda sul futuro. Bersani e Vendola, che certo non si fanno spaventare, puntano tutto sul cambiamento, sulla necessità di scavalcare l’attuale fase politica per offrire al Paese un governo politico che affronti i nodi strutturali della crisi. Le loro campagne puntano a rassicurare, ad accompagnare il passaggio dal governo Monti a quello del possibile centro sinistra. Una tale distanza tra la campagna del fiorentino e quelle del bettolese e del pugliese danno il senso del vecchio e del nuovo? Assolutamente no, sono due visioni completamente differenti che si confrontano sulla stessa interpretazione del ruolo delle sinistre. Renzi ha in testa uno schema: abbattere mediaticamente la classe dirigente del PD per aver il consenso necessario per diventare il candidato a Premier; Bersani e Vendola che hanno ben compreso che sarà necessario un concreto rinnovamento puntano su una campagna sui temi, su quello che come presidenti del Consiglio vorrebbero fare. La rottamazione, a differenza del cambiamento concreto delle politiche del governo Monti, di un governo politico che decide su quali politiche economiche, sociali, puntare, non mette al centro il programma (il che non vuol dire che non esista) ma la furia purificatrice del cavaliere di turno che sui palchi e nelle tribune tv, da solo rappresenta il nuovo. Niente di nuovo vero?  Allo stesso tempo anche il “cambiamento” se non supportato da scelte di campo più nette rischia di far percepire il realismo riformista del governo, come una proposta ribollita, che non parla ai cuori, allo sconforto diffuso anche dentro il popolo del centro sinistra. Un difetto d’origine è insito in queste Primarie: l’assoluta assenza del genere femminile. Può darsi che la Puppato ce la faccia a raccogliere le 20mila firme necessarie per partecipare, ma la questione non cambia. Con tutto il rispetto che si deve a chi ci mette la faccia, nessuna donna che potesse in qualche modo giocarsela, si è nemmeno posta il tema, né alcuna vera spinta è venuta dall’interno e dall’esterno dei partiti del centro sinistra. Il voto femminile (e quello giovanile) determinerà la vittoria del candidato a premier, ma le donne continuano a esser sempre supporter, segretarie, portavoce, badanti di maschi, di ogni età, mai vere protagoniste. E fa una certa impressione che moltitudini di donne aderiscano alla stagione rottamatoria senza porre il tema di che tipo di rinnovamento in verità si parli, a iniziare dai vertici. Tornando al confronto tra rottamazione e cambiamento, con tutta probabilità solo il 2 dicembre sapremo quale delle due visioni prevarrà, con la consapevolezza che le sinistre che si stanno confrontando propongono visioni che in altre esperienze occidentali convivono in uno stesso contenitore, e si contendono da decenni la promozione di un proprio leader a detrimento di un altro. Bisogna non aver paura, pur tra i soliti pasticci all’italiana, perché ciò che sta avvenendo è qualcosa di finalmente chiaro, e con serenità e si potrà decidere per chi parteggiare.

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