L’arcipelago lgbt deve uscire dal vittimismo – settimanale gli Altri
Forastico a qualsiasi moda rottamatrice che sta trasformando il dibattito pubblico in una sorta di gioco circense dell’antica Roma, e rammentando che il movimento lgbt italiano è l’unico che dai primi anni ’70, con alterne fortune, atti eroici, diffuso ostracismo da parte della classe politica, durissima opposizione della chiesa cattolica, è giunto fino a noi con una forza sociale molto importante, voglio spiegare perché a mio avviso, va completamente riorganizzato. Più che un movimento, l’arcipelago lgbt, è una rete plurale e territorialmente presente anche in piccole realtà e, dalla metà degli anni ’90 ha fatto un gran salto di irrobustimento e capacità di prendere la parola sui mass media. Analisi liquidatorie e poco informate (purtroppo anche nella collettività lgbt la memoria è labile) dipingono i due ultimi decenni come una lunga sequela di sconfitte. Invece l’esplosione della visibilità lgbt, con il World Pride del 2000 (che provocò molte polemiche interne al movimento) ma che Imma Battaglia seppe trasformare nella più grande risposta laica e libertaria alle interdizioni vaticane che non volevano alcuna manifestazione nella Capitale nell’anno del Giubileo, ha vinto nella società, espresso negli anni successivi una vivacità aggregativa e culturale molto importante. Se oggi le coppie omosessuali sono una realtà indiscutibile, se la genitorialità lesbica e gay pone questioni concrete anche alle formazioni politiche più omofobe, tutto questo è stato possibile perché Arcigay, Arcilesbica, Mario Mieli, Mit, e le tante nuove associazioni di scopo nate nell’ultimo decennio tra cui Famiglie Arcobaleno, si sono impegnate e accompagnato una fuoriuscita straordinaria dalla clandestinità. E’ stato il rapporto con la politica che non ha funzionato, sia per i vecchi vizi insiti di una classe dirigente incapace di autonomia valoriale e sia per errori e ingenuità della rete lgbt. E’ stato tentato un po’ di tutto: dall’adesione alla proposta ulivista dei Pacs (poi tradita dai mai realizzati umilianti Dico e Cus) all’opposizione più dura rispetto al partitone. I leader si sono divisi, si è pensato da una parte che bisognava entrare in forze in Parlamento per spingere le leggi, dall’altra sono volate accuse di arrivismo e tradimento. Nella sostanza si è partecipato a un ballo di cui i passi son sempre stati decisi da partiti della sinistra pubblicamente amica, nella sostanza imbelle. Essendo stato protagonista, insieme con altre e altri, di quegli anni, ho più volte rammentato che errori e risultati devono esser analizzati insieme, così da dotarsi di strumenti utili per il futuro. E’ evidente che le associazioni “nazionali” come Arcigay, pur espandendo la loro presenza territoriale, sono incapaci di mettere in campo un nuovo inizio. Questo giudizio, un po’ rozzo, vale per tante altre gloriose e importanti sigle del movimento lgbt. E’ percepibile sui media che la voce dell’impegnata collettività lgbt è assente. Per questo si animano i gruppi estremisti clericali, dalle Sentinelle ai ManifPourTous, che a differenza dei conciliabili per la guarigione degli omosessuali, non attaccano la soggettività omosessuale, ma si presentano come vittime che difendono la libertà di opinione. L’attacco dell’Avvenire contro la teoria del gender (dibattito plurisecolare anche dentro la chiesa di cui ci si guarda bene di far comprendere i veri termini) è chiaro, furbesco e, può contare su potenti mezzi economici e mediatici. Meno si parla di amore, di progetti di vita, di diritti e doveri, e più il campo è scelto dall’avversario che segna a porta vuota, perché la retorica della difesa delle idee è dirompente. Si è sbagliato a insistere sull’estensione della legge Mancino, richiesta legittima e giustamente presente nei pochi e chiari punti della piattaforma rivendicativa, mettendo un po’ di lato il tema dell’uguaglianza dei diritti e dei doveri. La legge sull’omofobia langue al Senato, dopo esser uscita dalla Camera con un testo pericoloso e pasticciato, e ora, la Lega attraverso un Referendum (5 quesiti tra cui anche quello di riaprire i bordelli) chiede di cancellare tutta la norma antidiscriminatoria. Altro errore, che purtroppo si continua a perpetrare è il lamentio ogni qualvolta accadono fatti di grave aggressione omofoba. Il vittimismo assicura servizi televisivi, titoloni sui giornali, ma fa arretrare culturalmente, segnalando un’incapacità ad affermare la propria soggettività. Ben inteso, la responsabilità morale e politica dell’omofobia violenta sono evidenti, e hanno nomi e cognomi precisi, ma rilevarlo fino allo sfinimento, riduce alla fragilità sociale, a fenomeno eccezionale di cui doversi occupare ogni tanto. A correggere la linea politica ci si mette poco, ma chi lo debba decidere è assai più complicato. Il movimento così com’è, litigioso, in preda a veti contrapposti, vere e proprie querelle che durano da anni, per esempio, su chi è legittimato a organizzare i Pride (Roma ne è un esempio sconsolante), non può incidere. Forse qualcuno alla fine soccomberà, qualcun altro si aggiudicherà qualche progetto in più, o rafforzerà la sua immagine personale e/o collettiva, ma le persone lgbt non otterranno alcun risultato. Sarebbe forse salutare una soluzione drastica di auto scioglimento di tutte le sigle e la nascita finalmente di un soggetto unico nazionale con una testa politica riconoscibile, in subordine persino una Federazione con regole chiare e condivise potrebbe essere una soluzione ragionevole. Pochissime associazioni lgbt sono disposte a discutere di tali ipotesi, tutte gelose delle proprie specialità; intanto si moltiplicano i Pride (fatto di per se positivo, ma senza una regia nazionale si trasforma in un messaggio incomprensibile). Si ampliano le avversioni tra gruppi (atteggiamento davvero coerente per chi si opera per il riconoscimento sociale e politico della vita e l’amore di milioni di persone) e, nella pratica uno dei movimenti più rivoluzionari della storia, si riduce a una rete di egoista conservazione. In epoca in cui sembra che il ringiovanimento che emargina l’età matura sia la panacea, si può dire che il movimento è pronto da tempo. Da militante d’antan, che vuole bene a un movimento in cui non riconosce più, non mi abbandono all’amarezza, piuttosto con vicinanza auspico, che l’arcipelago lgbt trovi il suo presente.
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