Dal settimanale Gli Altri intervista di Katia Ippaso
Harvey Milk, politico e attivista gay, fu ucciso a San Francisco a causa della sua omosessualità. n recente film di Gus Van Sant, con l’interpretazione da Oscar di Sean Penn, lo ha fatto conoscere nel mondo. Riceveva molte lettere minatorie. «Mi ‘ ricordo – racconta il nipote – che c’era un momento in cui abbassava lo sguardo. Ma lo rialzava subito pronto a fare qualcosa. A reagire» . Il suo messaggio è arrivato fino a noi.
Il nipote di Harvey, Stuart Milk, è in Italia ospite dell’associazione Equality, presieduta da Aurelio Mancuso, per una serie di conferenze che si terranno dal 2 al 7 maggio a Torino, Genova, Milano, Magenta, Bologna, Padova e Roma. Nell’anno in cui l’Europride è a Roma, l’associazione ha voluto in questo modo proporre «un contributo culturale e di riflessione sui possibili strumenti di inclusione e di ampliamento dei diritti»
“Mio zio mi insegnò che gay è bello”
Attivista del movimento Lgbt, consigliere di Obama
Un viaggio in Italia. Chissà se Mr. Stuart Milk si immagina quanto arduo potrebbe essere questo viaggio. Quanto dolore e quale arretratezza culturale c’è dietro le lotte della comunità Lgbt (lesbian-gay-bisessual-transgender) nel nostro paese. Forse un po’ se lo immagina. Lui che. è nipote di Harvey Milk, il politico e attivista gay che fu assassinato nel 1978 a San Francisco (sulla cui figura Gus Van Sant realizzò nel 2008, il film Milk) e che con lo zio ha parlato fin da ragazzino di civiltà e diritti degli omosessuali. Lui che ·ha ereditato il senso· di una missione quasi impossibile e· che conosce bene le lacerazioni di un’ America liberale e feroce, è più abituato di chiunque altro a navigare nelle contraddizioni più profonde non solo del suo paese. Come presidente della Harvey Milk Foundation, consigliere di molti governi in materia di uguaglianza globale, conferenziere di professione (ha viaggiato in più.di 40 paesi), Stuart Milk terrà dal 2 al 7 maggio un ciclo di conferenze a Torino, Genova, Milano, Magenta, Bologna, Padova e Roma, organizzate da Equality Italia che, nell’anno in cui l’Italia ospita l’Europride a Roma, ha voluto in questo. modo proporre «un contributo culturale di riflessione sui possibili strumenti di inclusione e di ampliamento dei diritti». Cosa dobbiamo aspettarci? E cosa si aspetta lui?
Mr. Milk, come immagina il suo “viaggio in Italia”? È consapevole delle condizioni di estremaa vulnerabilità e non tutela che la comunità Lgbt vive nel nostro paese?
Ho un duplice desiderio: da un lato, varrei che la comunità Lgbt italiana sentisse tutta il sostegno da parte mia e della Fondazione che rappresento, dall’altro senta il bisogno di informare rispetto agli ostacoli e ai progressi fatti dalla stessa comunità negli Stati Uniti e nelle altre realtà che ho conosciuto viaggiando.. Sana consapevole del fatto che in Italia c’è una crescente ostilità nei confronti della comunità Lgbt, che allontana gli italiani dall’abbracciare la ricchezza di sguardi e esperienze che possano arrivare da noi.
In genere come organizza i sui discorsi? Li diversifica a seconda dei paesi e dei contesti che incontra di volta in volta?
Io parto sempre dalla considerazione dei rischi sociali (e culturali) che le mie sorelle e i miei fratelli, gli attivisti che operano dentro e intorno alle comunità Lgbt, corrono ovunque. Inizio così i mieidiscorsi. Dopo di che, incoraggio a vivere con accettazione e libertà la propria vita. È un messaggio che ci arriva dall’esempio di mio zio Harvey che a trentacinque anni ebbe il coraggio. di parlare apertamente superando tabù che sembravano insormontabili: negli Stati Uniti d’America, l’omosessualità era ancora classificata come malattia mentale. Ho conosciuto così tanti ragazzi che, dopo aver visto una dei film ispirati alla vita di Harvey Milk, hanno avuto finalmente il coraggio di tornare nelle loro, nelle loro città, rompendo il muro dell’omertà, cominciando a parlare a chiunque di quello che significa essere gay. Molti di loro sono stati minacciati, hanno corso dei seri problemi. Per questo è molto importante che la comunità Lgbt intervenga per far sentire tutto il supparto possibile.
Chi è il destinatario dei suoi discorsi?
Ho parlato all’interni di Convention democratiche molte e ho parlata in contesti molto più astili. Penso che i dibattiti più interessanti siano quelli che oppongono una visione laica della vita ad una visione “religiosa”, nel senso dogmatica, dell’esistenza. Alla fine della discussiane, i ragionamenti dogmatici cadano facilmente perché non hanno basi su cui fondarsi. Il modo con cui vengano affrontati certi discorsi non è innocuo: c’è una grande differenza tra un dibattito, una conferenza, un’adunanza, una conversazione dopo la visione di un video o di un film … .In genere, per me il modo migliore per raggiungere l’auditorio è includere nel discorso il racconto di certe conversazioni che ho avuto con mio zio Harvey.
Cosa vi dicevate?
Avevo 17 anni quando mia zio Harvey fu assassinato e quella notte sentii di perdere la pietra di paragone, la prova, della mia autenticità. Il tempo speso con Harvey era bellissimo. Parlavamo per ore di quello che significava accettare se stessi. Harvey mi diceva che per andare nel mondo bisognava prima essere sicuri di essere “autentici”. ‘Mi mancano quelle conversazioni con lui, ma i messaggi rimangano, oggi più che mai.
C’è stato un momento preciso in cui ha capito che avrebbe proseguito la missione di Harvey, diffondendo le sue parole?
La prima occasione in cui palai pubblicamente come “nipote gay di Harvey Milk” fu all’Oberlin College (un college di stampo liberal), subito dopo la proiezione di Times of Harvey Milk. Io ero lì con il produttore , il premi Oscar Richard Schmeiken. Ebbene, un quarto del pubblico uscì dalla sala durante la proiezione, e un altro quarto durante il dibattito, nel momento in cui io e Richard dichiarammo apertamente che eravamo orgogliosi di essere gay. Questo accadeva nel 1984. lo avevo solo 23 anni, ma abbastanza per capire che la lotta sarebbe stata dura e che i desideri di mio zio non si sarebbero realizzati in breve tempo.
C’è un ricordo in particolare, ‘un fotogramma della sua vita accanto ad Harvey, a cui è profondamente legato?
Sì, ce n’è uno. Posso vedere mio zio mentre legge le lettere minatorie di sconosciuti (che riceveva quasi quotidianamente). Se guardo bene il suo viso, mi accorgo che c’è un momento preciso, un battito, in cui abbassa lo sguardo, è un gesto di riflessione, ma subito dopo lo rialza per capire cosa bisogna fare, come bisogna reagire. Senza preoccuparsi per la propria incolumità fisica, sa che non bisogna arretrare. Se guardo attentamente, vedo nel suo volto e in quel combattimento interiore di un attimo (che si risolve sempre nell’azione), un tipo di’ coraggio che mi è capitato di incontrare raramente negli anni a venire.
Lei ha paragonato Harvey Milk a figure come Gandhi e Marthin Luther King. Chi era esattamente Harvey Milk? Che cosa ha rappresentato nella storia recente d’America?
Harvey ha scritto storie meravigliose sul senso della giustizia e dell’ingiustizia quando ancora frequentava il liceo, poi nei suoi vent’anni sfidò le autorità dell’Albany Trinity College, e a trenta si dimise dall’insegnamento nella scuola pubblica di New York, come segno di protesta nei confronti del sistema educativo americano, che negli anni Sessanta era fondato sull’ineguaglianza sociale e razziale. Harvey produsse, assieme a a Tom O’Horgan, il musical Jesus Christ Superstar. Harvey era un ebreo americano e parlava di «Gesù Cristo, l’uomo che osò sfidare i dogmi religiosi» con grande rispetto … La sera della prima mi portò in camerino ad incontrare “Erode, Maria, Giuda e Cristo” e parlammo a lungo …. Quella conversazione con Harvey me la ricordo ancora, divenne una pietra miliare nella mia educazione, nella comprensione di quello che c’era dietro le mie origini razziali e culturali.
In che modo il film di Gus van Sant, “Milk” (per quel ruolo, Sean Penn ricevette l’Oscar come attore protagonista) ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione dei diritti umani e civili?
Ogni volta che si parlava della vita di Harvey, il movimento riceve un balzo in avanti. Gus ha fatto un film toccante, e Sean Penn ha fatto un lavoro incredibile interpretando Harvey. La sera degli Oscar, diedi a Sean una lettera di mio zio in cui parlava di speranza nel futuro e lui la tenne tutto il tempo in una tasca della giacca, come portafortuna. Il discorso che quella sera Sen Penn fece sui diritti degli omosessuali di fronte a milioni di telespettatori ha contribuito enormemente al progresso della nostra causa. Il successo del film ha anche aiutato a far diventare materia legislativa l’Harvey Milk Day in California, ora diventata una celebrazione annuale.
Dal punto di vista dei diritti, in che condizioni vive la comunità Lgbt negli Stati Uniti?
Il problema principale delle comunità si chiama Doma, un’orrenda legge proposta dal Congresso repubblicano e ratificata da Clinton. E manca un atto federale di non discriminazione che includa la nostra comunità.
Lei ha incontrato Barack Obama più di una volta, anche come consulente dei di ritti della comunità gay. La prima volta le consegnò la Medaglia Presidenziale per la Libertà, in nome di suo zio Harvey Milk (era il 2009). Come si è comportato con lei ?
Il Presidente Obama è un amico sincero, non soltanto delle sorelle e dei fratelli americani, ma di tutti i membri della comunità Lgbt sparsi nel mondo. Sa cosa lo distingue dai suoi predecessori? Il fatto che non abusa del suo ruolo e che agisce veramente nella direzione del cambiamento. Non perde occasione per includere la nostra comunità in tutti i discorsi che riguardano la famiglia e la società. Ma ha molti nemici.
Lei ha formato una sua propria famiglia?
Io spendo la maggior parte del mio tempo in aeroplano, ma la mia casa è in Florida. Ho due gatti e molti amici, tra cui diversi ex fidanzati.
Secondo la sua esperienza, quale è il meccanismo profondo che governa la paura del “diverso”?
Mio zio l’ha detto molto chiaramente negli anni Settanta: è la paura di cambiare un sistema di valori prefissato. Quando per tutta la vita ti viene detto che questo è l’unico modo per vivere una vita “nella benedizione di Dio” e che ogni altro modo “non benedetto da Dio” è sbagliato, è chiaro che la nostra battaglia non è solo una battaglia per i diritti della comunità che rappresentiamo, ma per il cambiamento di un certo modo di pensare e di vivere, quasi universalmente accettato come dominante.
Le è capitato di essere minacciato per la sua attività? Si è mai sentito in pericolo?
Ho ricevuto diverse lettere minatorie ma non sono niente se le compariamo a quelle che riceveva quotidianamente mio zio. Ogni tanto appaiono messaggi pubblicati on line che proclamano: “il nipote farà la stessa fine dello zio, e sarà il lavoro di Dio”. L’unica paura che ho non è per la mia vita ma per le persone che ho incontrato, giovani o vecchi che siano, uomini e donne che non possono dichiarare pubblicamente la loro sessualità perché, se lo facessero, morirebbero .
Noi viviamo in un paese,l’Italia, che convive con un sentimento di assuefazione e una latenza di perenne aggressività. Chiamandola paura, o viltà. Come reagiscono in America le giovani generazioni alle spinte più conservative della società? E come immaginano il futuro?
Io nutro sentimenti di speranza nei confronti delle nuove generazioni di americani. Hanno una coscienza chiara dei loro diritti. Però c’è ancora molto lavoro da fare. Per esempio, nella nostra comunità, c’è una percentuale molto alta di suicidi giovanili, specialmente nelle comunità rurali e suburbane o nelle cittadine dominate da un certo puritanesimo religioso. Ma mio zio lo diceva sempre ed io lo condiviso: i giovani cambieranno il mondo.
La parola che lei ripete spesso e che ha ereditato da Harvey è “autenticità” . Cosa significa per lei “essere autentici”?
“Autenticità” è l’arte che consiste nel vivere una vita autentica, che significa non dover essere giudicato in base a chi ami. Mio zio mi diede nel 1972 un’antologia di storie sui nativi americani, Seven Arrows, e sulla parte interna della copertina scrisse: «Stuart, tu e tutte le tue diversità siete un regalo per il mondo, anche se il mondo non vuole riconoscere che sono un regalo».
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